Censura e hate speech: il caso Feltri e Boldrini

Isa Borrelli
5 min readNov 27, 2020

Il caso di Genovese, l’imprenditore accusato e arrestato con l’accusa di aver stuprato e seviziato una diciottenne, ha infiammato le cronache e i social.

Come accade nel giornalismo italiano, la condanna per fatti così gravi di violenza sulle donne non solo non è unanime, ma dalla parte di chi colpevolizza l’abusata e in fondo difende lo stupratore ci sono state anche autorevoli firme. Un esempio è stato il pezzo de Il Sole24Ore, una delle testate ritenuta tra le più affidabili, poi modificato e Vittorio Feltri, giornalista di potere e fama.

lo screenshot prima della modifica del pezzo de Il Sole 24Ore.

Il Sole24Ore tratta il tema delle accuse di violenza sessuale a carico dell’imprenditore Alberto Genovesi — arrestato quasi un mese dopo nell’inchiesta del pm Rosaria Stagnaro coordinata dall’aggiunto Letizia Mannella — e decide di farlo attraverso uno storytelling che mette al centro l’imprenditore con tutte le sue qualità positive definnendo letteralmente un reato grave come uno stupro “un intoppo”.

Il garantismo — ovvero il ritenere qualcuno innocente fino a prova contraria di una sentenza — è stato evidentemente superato in favore di una modalità di racconto della violenza tossica.

Qual è la differenza? La differenza è nel modo in cui viene raccontato il crimine.

Se il giornalista avesse riportato i fatti senza sminuire e ridicolizzare un’accusa di stupro, ma riportando che un imprenditore, con notevoli capacità professionali, probabilmente si era macchiato di un terribile crimine non sarebbe stato, a mio avviso, più equilibrato.

Chi scrive fa cultura. E questo è tanto più vero se il pensiero di chi scrive viene moltiplicato dalla televisione e dai social media. La disuguaglianza di rappresentazione nel potere è un tema rilevante: chi ha la possibilità di portare la propria opinione al pubblico di massa contribuisce a influenzare considerevolmente l’opinione pubblica [Lippman 1922, McComes 2018]. Chi occupa quei posti dovrebbe rappresentare una pluralità di opinioni e di vedute, ma ahimè non è così. Gli editori — ed uso il maschile sovraesteso volutamente — sono per la maggior parte uomini, bianchi, eterosessuali e over 50. Ma questo è un altro articolo.

Vittorio Feltri.

La rappresentazione dell’opinione e il potere di chi divulga questa informazione è alla base delle considerazioni circa l’editoriale a firma di Vittorio Feltri, un famoso giornalista italiano, noto per posizioni di estrema destra e per un linguaggio volgare.

Feltri scrive dello stupro di Genovese, rivolgendosi alla “povera Michela” a cui chiedere retoricamente “cosa pensava di andare a fare, recitare il rosario? […] tanto più che Alberto godeva della fama del mandrillo”. E conclude augurando a Genovesi di disintossicarsi, “Alla sua vittima concediamo le attenuanti generiche, ai suoi genitori tiriamo le orecchie”.

Feltri scrive in prima pagina su una testata nazionale quale Libero propagando violenza, incitando all’odio e ricalcando i pensieri che purtroppo sono di una larga fetta di popolazione. È del 2019 il sondaggio Istat secondo cui per il 39,3% della popolazione italiana una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. Il 23,9% pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire. Il 15,1%, invece, è dell’opinione che una donna che subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

Vittorio Feltri su Twitter.

Alcuni commentatori progressisti italiani ritengono che Feltri vada ignorato per le sue posizioni oltranziste. Tuttavia si tratta di una persona con potere che oltre a scrivere su un giornale di destra, siede nei principali talkshow televisivi italiani, dove riporta la sua propaganda misogina. Nell’esposizione mediatica che ne è conseguita, Feltri ha rivendicato le sue parole di biasimo nei confronti di chi ha subito una violenza anche da altri pulpiti di prestigio come le agenzie di stampa nazionali.

Quella di Vittorio Feltri non sembra rientrare nella libertà di espressione, ma si configura come hate speech. Il discorso d’odio rappresenta il confine della libertà di espressione, quella che nel detto popolare recita “la mia libertà finisce dove inizia la tua”. Ma al di là di detti popolari, è la giurisprudenza a parlare.

Secondo Agenda Digitale hate speech si riferisce a un tipo di comunicazione che si serve di parole, espressioni o elementi non verbali che non hanno altra funzione a parte quella di esprimere odio e intolleranza, nonché di incitare al pregiudizio e alla paura verso una persona o un gruppo di persone, accomunate da etnia, orientamento sessuale, politico, religioso o disabilità.

Discutere apertamente del crimine d’odio di cui probabilmente si è macchiato Vittorio Feltri è legittimo e importante in un contesto democratico che si dichiara contro la violenza maschile sulle donne, come abbiamo sentito ieri 25 novembre dai discorsi del Premier Conte e del Presidente Mattarella.

da destra a sinistra: Vittorio Feltri, Laura Boldrini e Mattia Feltri.

Non la pensa così Mattia Feltri, figlio di Vittorio Feltri, giornalista famoso anch’esso che scrive su diverse riviste come VanityFair e dirige l’edizione italiana di Huffington Post. Il direttore Mattia Feltri ha infatti censurato l’articolo dell’Onorevole Laura Boldrini che sarebbe dovuto uscire all’interno della testata da lui diretta. L’articolo sembra si riferisse a Vittorio Feltri e al suo hate speech misogino con “apprezzamenti spiacevoli”.

In un pezzo di stamattina, Mattia Feltri conferma le accuse di Laura Boldrini e le rivendica.

Confermo quanto scritto oggi dall’onorevole Boldrini su Facebook: ieri ha mandato uno scritto per HuffPost che conteneva un apprezzamento spiacevole su mio padre Vittorio. Ritengo sia libera di pensare e di scrivere su mio padre quello che vuole, ovunque, persino in Parlamento, luogo pubblico per eccellenza, tranne che sul giornale che dirigo.

Dunque è una questione di potere la libertà di espressione. Praticabile ovunque, tranne che in luoghi trattati alla stregue di luoghi privati: i giornali. Mattia Feltri inoltre definisce la sua decisione in base a ciò che è appropriato, mentre l’editoriale di Vittorio Feltri sembra andare ben oltre questo concetto fumoso di dignità.

EDIT: l’articolo in questione è stato poi pubblicato dalla testata Il Manifesto. Il riferimento spiacevole sarebbe, a quanto mare, la semplice menzione.

Da una parte viviamo la massima libertà di espressione, quella che consente finanche il discorso d’odio dai giornali e dalle televisioni, mentre dall’altro la libertà di espressione viene limitata in base all’appropriatezza, personale, di un riferimento al padre del direttore del giornale.

Cosa faccia pensare l’ago della bilancia sembra essere il potere. Che stavolta coicide con l’essere un uomo bianco ricco.

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Isa Borrelli

[they/them] strategist specialized in language. I am transfeminist and trans*